Intervista a Sophia Tomelleri, sul palco del Teatro Bello per "I grandi del jazz- Suonati e narrati da Paolo Tomelleri "
Nerospinto ha incontrato Sophia Tomelleri , tra le più interessanti saxofoniste del Jazz italiano, in occasione degli imminenti appuntamenti al Teatro Bello di Milano con "I grandi del jazz- Suonati e narrati da Paolo Tomelleri e i suoi amici musicisti". Sophia Tomelleri sarà sul palco del Teatro Bello (al sax) domenica 6 ottobre, con inizio alle ore 17.00, per Jazz goes latin, le contaminazioni jazz nei paesi latini, e sabato 12 ottobre (ore 17.00) per Le origini del jazz: da New Orleans, con la celebre Borboun Street, passando per Chicago e New York, fino a San Cristoforo. Quest'ultimo appuntamento è ad ingresso libero, in quanto fa parte degli spettacoli teatrali gratuiti in occasione della inaugurazione dell’intera linea M4 della metropolitana, da Linate al quartiere Giambellino (e viceversa) fino al capolinea di San Cristoforo.
Sophia Tomelleri si diploma nel 2013 in saxofono classico al conservatorio "G. Verdi" di Milano, per poi trasferirsi in Baviera e conseguire una laurea triennale in saxofono Jazz presso la "Hochschule für Musik und Theater München" di Monaco di Baviera nel 2018. Durante questo periodo ottiene una borsa di studio per passare un anno al CMDL, istituto parigino diretto dal violinista Didier Lockwood.
Nuovamente in Italia, nel 2020 si aggiudica il primo posto per giovani solisti Jazz in due concorsi: il premio “Luciano Zorzella" e il premio "Massimo Urbani". Quest'ultimo le dà occasione di incidere il suo primo album con il suo quartetto pubblicato nel 2021 per la Emme Record Label, dal titolo "These Things You Left Me". Nel 2021 decide di approfondire lo studio della composizione iscrivendosi al corso di laurea magistrale presso il conservatorio di Genova sotto la guida del M° Paolo Silvestri. Dal 2021 al 2024 è stata in tour con il cantante Elio per lo spettacolo "Ci vuole orecchio", dedicato alla musica di Enzo Jannacci. Ha collaborato e collabora con rinomati artisti del Jazz italiano (Gianni Cazzola, Massimo Faraò, Fabrizio Bosso, Sandro Gibellini) nonché del Pop (Elio, Vinicio Capossela). Parteciperà al tour nei palazzetti con il cantante Jovanotti nel 2025.
Nipote d’arte (suo nonno è, appunto, il celebre sassofonista Paolo Tomelleri), racconta così il suo rapporto con l'icona del jazz milanese: "è una gran fortuna condividere la stessa passione con il proprio nonno, una persona che grazie alle due generazioni di distanza ha tutto un altro bagaglio di vita e insegnamenti alle spalle. Il caso vuole che andiamo anche d’accordo. Mio nonno in particolare ha una memoria fenomenale insieme alla dote di saper raccontare in maniera avvincente e divertente storie e esperienze del passato, per cui è sempre piacevole ascoltarlo. È scontato per me suonarci insieme o chiedergli consigli quando qualche volta ho dubbi su questioni di tipo professionale, ma quando ci penso mi rendo conto che non lo è affatto. Ho notato che al pubblico piace vedere nonno e nipote insieme sul palco, qualcuno dice anche che ci assomigliamo mentre suoniamo e che abbiamo un umorismo molto simile (condividiamo la passione per Achille Campanile, scrittore e umorista italiano)."
«Ultimamente, quando si parla di jazz davvero non si sa più che cosa pensare. Troppe cose sono spacciate per jazz e non lo sono. Se è vero che è nato dall’unione di diverse culture, sembra quasi che il concetto stesso di jazz abbia perso la sua identità» ha dichiarato in una intervista.
Effettivamente c’è una tendenza alla dilatazione del linguaggio e dello strumentario jazzistico… fino a che punto, a suo avviso, questa estensione è legittima (conformemente alla natura intrinsecamente meticcia del jazz) e quando invece “scade” nell’acritica e confusa fusione di stili a fini meramente commerciali?
Quella dichiarazione risale a qualche anno fa, tant’è che quando l’ho letta non mi ricordavo nemmeno di averla fatta e mi son chiesta: “Ma chi è questo purista del Jazz?”. Nel frattempo ho maturato un diverso modo di pensare. Utilizzare termini come Jazz, Rock ecc. può servire ad orientarsi, ma non possono essere usati come discriminante. Se mettiamo a confronto il Jazz di Louis Armstrong con quello di John Coltrane o ancora con quello di Sun Ra, parrebbe che c’entrano ben poco l’uno con l’altro; forse li si può considerare uno la conseguenza del precedente, ma come si fa a dire che una cosa è più Jazz dell’altra? L’elemento distintivo nel Jazz è l’improvvisazione, il resto è gusto personale.
Quello che mi è sembrato di captare negli anni, incontrando musicisti o appassionati, è una diffidenza nei confronti del Jazz più “convenzionale” o acustico - cioè suonato da strumenti tradizionalmente impiegati nel Jazz, come contrabbasso, pianoforte, batteria e un fiato- senza ingerenze elettroniche o altro. Automaticamente si viene etichettati come un complesso che fa Jazz datato, ammuffito, poco innovativo. Certe volte mi sembra che ci sia la tendenza a privilegiare, o considerare più creative, formazioni dallo strumentario poco convenzionale, anche se mancano di contenuti musicali. Non basta secondo me servirsi della tecnologia senza un’idea compositiva chiara alla base. Al contrario si può essere creativi e personali anche con formazioni acustiche, come i saxofonisti Mark Turner e Melissa Aldana. Chiaramente la tecnologia apre a degli scenari molto interessanti, e sono convinta che un musicista oggi ci si debba confrontare.
A questo proposito, cosa pensa dell’estetica diffusa e praticata in Italia da Giorgio Gaslini, che nel libro "Musica totale” teorizzava un linguaggio universale, libero e dinamicamente aperto a tutti i valori musicali?
Non conosco né il libro né il pensiero di Giorgio Gaslini, pertanto non posso darne un’opinione.
La musica è un linguaggio universale, poi ci sono anche i gusti di ognuno…
Quest’estate, nell’ambito del Festival Musica sulle Bocche, ha suonato con una formazione cosiddetta harmony-less. Vuole spiegare meglio ai profani di cosa si tratta?
Harmony-less significa letteralmente tradotto “senza armonia”. Gli strumenti armonici sono quelli che fisicamente riescono a riprodurre più suoni contemporaneamente al contrario di quelli monodici, come la tromba o il violino, che possono produrre solo un suono alla volta. Tra gli strumenti armonici più conosciuti e utilizzati nel mondo musicale occidentale rientrano ad esempio il pianoforte e la chitarra. Sono spesso elementi indispensabili nelle band perché dal loro sostegno viene la ricchezza armonica che sentiamo sotto un cantante o un solista, che invece è responsabile della melodia, non a caso anche chiamato “strumento melodico”.
Nel Jazz, il fatto di avere un accompagnamento armonico può arricchire il contesto musicale, ma può anche “disturbare” o ingabbiare il solista, dal momento che è il musicista che suona lo strumento armonico a decidere quali accordi suonare e quando suonarli. Senza strumento armonico, il solista ha più libertà: non è più vincolato a rispettare l’armonia imposta dal pianoforte e può scegliere ad esempio di interagire di più con la batteria, quindi di improvvisare in maniera più ritmica.
Vuole raccontarci come e quando è avvenuto il suo incontro con il sax tenore?
Il mio incontro col sax è avvenuto in maniera casuale. A chi conosce mio nonno viene naturale pensare che sia stato lui a farmelo incontrare, ma non essendo cresciuta a Milano mio nonno l’ho visto ben poco. Ho frequentato le scuole medie ad Alghero, e all’epoca andavo a lezione da un maestro che insegnava contemporaneamente vari strumenti ai ragazzi, nella stessa aula. C’erano tre chitarristi, due flautisti, io mi alternavo al pianoforte e alla batteria insieme ad un compagno. C’era un gran casino ma in qualche modo era produttivo. Un giorno entrò un ragazzo con un sax alto. Io per curiosità lo provai e dopo poche note il mio maestro esclamò: “Questo è il tuo strumento, devi suonare il sax”.
Com’è nata la collaborazione con Elio, poi sfociata nella sua partecipazione allo spettacolo “Ci vuole orecchio”, dedicato al poetastro- come amava definirsi-della storia della canzone italiana, Enzo Jannacci? È una circostanza “curiosa”, se si considera che suo nonno è stato per oltre trent’anni il sassofonista e clarinettista di Jannacci…
È una circostanza curiosa e anch’essa puramente casuale. Venni chiamata dal direttore musicale, Paolo Silvestri, che mi chiese se fossi interessata a partecipare a questo progetto. Ci fu un provino a Milano in presenza di Elio, della produzione e naturalmente di Paolo. Evidentemente li convinsi. Così sono entrata per la prima volta nel mondo dello spettacolo, tra l’altro affianco ad un professionista come Elio, che anche umanamente si è dimostrato fantastico. Nonostante il forte legame professionale e amicale di mio nonno con Jannacci, non conoscevo affatto la sua musica, per cui questo spettacolo mi è stato utile per colmare le mie lacune per quello che riguarda una parte importante della realtà culturale milanese.
A proposito di coincidenze, cosa pensa della versione di "Saxophone" incisa da Mina per l’album monografico “Mina quasi Jannacci”? Preferisce l’originale arrangiata da Pippo Caruso?
Mah, forse preferisco l’originale per la narrazione e la componente comica che Jannacci dà al brano, anche se Mina vocalmente è insuperabile…
A cosa sta lavorando attualmente? C’è un nuovo disco in cantiere?
A novembre volo a New York per incidere un disco con una ritmica americana (John di Martino, Peter Washington e Willie Jones III). È una collaborazione nata grazie al sostegno di una casa discografica giapponese, la Venus. L’album consisterà in opere scritte esclusivamente da compositrici della storia del Jazz, da Mary Lou Williams a Carla Bley. Prima o poi vorrei tornare in studio per registrare musica originale…
di Tiziana Latorre