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Mi chiamo Beniamino Strani, ho 24 anni e sono laureato in ‘Scienze dell’Informazione: Comunicazione Pubblica e Tecniche Giornalistiche’. Ho poi ottenuto un Master in ‘Critica Musicale’. Amo ogni forma di comunicazione e tra un articolo e un altro, pubblico delle poesie su un blog.
Da direttore d’orchestra a manager: quella di Andrea Gottfried, classe 1974, è la storia di chi ha saputo reinventarsi seguendo le proprie passioni, con l’intento di portare bellezza in ogni angolo della città. “Mi trovavo in un momento della mia vita in cui avevo bisogno di nuovi stimoli” spiega, e ciò lo spinge nel 2016 a creare la startup multiculturale Fuori Opera, il cui obiettivo è riportare l’opera lirica tra la gente, fuori dai teatri, nelle piazze, nei cortili dei condomini. Il progetto è cresciuto nonostante i difficili tempi della pandemia, arrivando a coinvolgere oltre cento professionisti, che hanno messo in scena circa 120 spettacoli realizzati con allestimenti flessibili. Spettacoli di opere “ridotte” nei tempi e negli spazi, ma che mantengono tutto il fascino dell’originale filo narrativo e che permettono agli spettatori una visione più accessibile. Quattro o cinque cantanti, accompagnati da un pianoforte o da un piccolo Ensemble, così da stare al passo con la figura dello spettatore, oggi sempre più moderno, consapevole e partecipativo. E con lo spettatore si evolve anche il concetto di arte e dell’opera lirica, non più elitaria ed esclusiva, ma aperta e trasversale.
Il Teatro Delfino di Milano accoglierà domenica 13 febbraio Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci. Tratto dall’omonima novella omonima di Giovanni Verga, l’opera vide il suo debutto nel 1890 al Teatro Costanzi di Roma, diventando una delle perle più preziose dell’arte verista. Lo spettacolo è arricchito dal pianoforte e concertazione di Andrea Gottfried, dall’allestimento e regia di Fabio Midolo e dalle scenografie di Nicola Console e sottolinea una problematica sociale tristemente attuale. Come spiega il Maestro Gottfried è “un forte atto di sensibilizzazione verso la violenza sulle donne, una violenza che non si esprime solo fisicamente.”
Partendo dalle opere originali della lirica italiana, il lavoro costante e appassionato di Fuori Opera punta ad avvicinarle il più possibile al pubblico, così da diffondere il verbo e la bellezza della lirica, proteggendone i valori e trasmettendoli alle nuove generazioni.
Calibrare l’insulto, privarlo dell’odio e della supponenza di chi si erge a giudice, mantenere costante l’efficacia dell’humour. A dispetto delle apparenze, non è facile eseguire la formula innovativa dell’insult comedy senza scadere nell’intolleranza. Dopo il suo applauditissimo esordio nella stand-up comedy, il primo e unico rappresentante in Italia dell’insult comedy Giorgio Magri arriva al Teatro Martinitt per proseguire la sua arte dell’insulto. «Non c’è odio ma sberleffo, io prendo in giro soprattutto me stesso» afferma l’attore milanese, fortemente influenzato dai comici Groucho Marx e Don Rickles.
“Buffone prodigio” fin da bambino, amante delle trasmissioni di satira da ragazzo, Magri adulto se la ride, letteralmente, sotto i baffi, sopra un palco dal 2013. Fa parte del collettivo Melamarcia, reduce dalla seconda stagione di Natural Born Comedians, e di due stagioni di Stand-up Comedy, entrambi programmi Sky di Comedy Central.
È partito ieri il suo Giorgio Magri Live, dove porta in scena un linguaggio tra black humour e politically incorrect, facendo riflettere gli spettatori sul ruolo che la comicità e le sue parole hanno nel contesto odierno sempre più attento e sensibile a certe tematiche. Ci sono vari modi di ironizzare anche su argomenti di un certo spessore, come ci ha ricordato Checco Zalone sul Palco del Teatro Ariston, durante la seconda serata del Festival di Sanremo. E proprio come il re del botteghino, quella di Giorgio Magri è una parodia sottile, nera e affilata come un coltello, dove la verità sta nel suo contrario, che difende ciò che sembrerebbe colpire.
Un invito ai signori benpensanti a mettere in discussione i loro fragili ideali, sottolineando come sia fondamentale andare dritti al contenuto di certi doveri. Rigettare le formalità dei rapporti interpersonali, ridando sostanza al rispetto per il prossimo, in uno spettacolo tagliente e graffiante, impetuoso e impietoso.
Non è una ricostruzione storica, ma una rappresentazione espressionistica e plastica, una sorta di varietà nero quello che Massimo Popolizio mette in scena al Piccolo Teatro Strehler di Milano dal 2 al 26 febbraio. L’attore genovese, qui in doppia veste di regista, dopo aver interpretato Benito Mussolini al cinema nel film Sono tornato, porta il Duce a teatro in una veste inedita.
M – il figlio del secolo, tratto dall’omonimo romanzo storico del premio Strega Antonio Scurati, ripercorre la storia del fascismo intesa come un’allegoria del potere, attraverso un linguaggio che mescola ironia nera ed estetica felliniana. Sul palco si alternano due Mussolini: uno più teatrante ed estroso, interpretato da Popolizio, e quello storico di Tommaso Ragno. Un cast di oltre 18 attori che senza retorica ripercorrerà con una formula teatrale brechtiana (e rischiosa, come ammette lo stesso regista in Conferenza Stampa) i sei anni che seguono la Grande guerra, dall’impresa di Fiume alla rivoluzione socialista e il dilagare dello squadrismo.
Proprio a 100 anni dalla Marcia Su Roma, lo spettacolo riflette le violente dinamiche del potere, l’attacco alla democrazia e il pericolo del pensiero unico. La lunga preparazione dello spettacolo, resa ancora più difficile dall’emergenza sanitaria da Covid- 19, testimonia il capillare impegno della squadra che regala al pubblico una ricostruzione artistica e originale di una della pagine più nere della nostra storia.
Pajata, saltimbocca, Carbonara. Sono tanti i piatti della cucina romana amati da tutti gli italiani. Ce n’è uno, che con la Carbonara, condivide il record di replicazioni sui social. Sembra un primo piatto di facile realizzazione, ma in realtà non lo è affatto. Stiamo parlando della Cacio e Pepe, un must della cucina capitolina, che esige pochi ingredienti ma di grande qualità e che richiede una grande maestria. Nata nel mondo della pastorizia, è una delle specialità immancabili nei menu dei ristoranti della Città Eterna.
E così lo store di Roma ha deciso di chiudere la celebrazione per i quindici anni di Eataly, con un Festival dedicato allo Cacio e Pepe, che si terrà al Terzo Piano dal 28 al 30 gennaio. Alcuni dei più celebri rappresentanti del panorama gastronomico romano metteranno in mostra le loro abilità per rivisitare ricette classiche: Felice a Testaccio preparerà i Tonnarelli cacio e pepe, l’Osteria Fratelli Mori farà degustare le Mezze maniche cacio e pepe, Alari i Cannelloni di ricotta con crema cacio e pepe e le Polpettine con crema cacio e pepe. Trattoria Verbano farà le Fettuccine cacio, pepe e baccalà e le Puntarelle cacio e pepe. Il Pastificio Secondi realizzerà i Ravioli ripieni di cacio e “pepe rosso Kampot della Cambogia” con guanciale croccante; i Ravioli ai carciofi alla romana con crema di cacio e “pepe Terra, selezione di pepi” e limone; la Mattonella di lasagna fritta cacio e “pepe bianco Muntok dell'Indonesia” e “pepe nero Sarawak della Malesia”. Manforte delizierà i presenti al Festival con il Supplì cacio e pepe (gluten free), le Patate fresche maltagliate con salsa fatta in casa cacio e pepe (gluten free), l’ Hamburger (di manzo o vegetariano) con rucola, pomodoro e salsa calcio e pepe mentre, la proposta dolce, sarà affidata ad Alari Pasticceria che porterà una golosa offerta di Crostate tra cui quella con Ricotta e cioccolato.
Oltre alla buona cucina, sono tanti gli incontri previsti durante le date del Festival, come il corso "La cucina romana: i primi" con Alessandra Mariani, Chef della didattica di Eataly, che si terrà sabato 29 gennaio. Sempre lo stesso giorno Mauro Secondi, del Pastificio Secondi e Fabio Gizzi, dell'Emporio delle spezie, saranno protagonisti dell’incontro "Cacio e pepe: alla scoperta dei sapori". Un momento formativo durante il quale verrà raccontata la storia delle diverse varietà di pepe e il loro utilizzo in cucina, guidando i presenti in un viaggio sensoriale e antropologico tutto da scoprire.
Tra vari djset che animeranno le serate, il Festival diventa un’occasione per coniugare cucina, cultura, musica e dialogo. Una sommatoria delle nostre eccellenze, che diventano per l’Urbe un fiore all’occhiello e per tutti i cittadini un modo alternativo per conoscere da vicino l’eccellente gastronomia del territorio.
“So, not everything was created for the human eye?” si chiede il romanziere Tesson ammirando i paesaggi del Tibet sopra 5000 mt e con picchi di 25° gradi sotto lo zero. Le avventure dello scrittore sono seguite con passione in La pantera delle nevi, il docu-film diretto da Marie Amiguet e Vincent Munier, con la colonna sonora composta da Warren Ellis e Nick Cave. Il film, che arriverà nelle sale italiane in primavera con Wanted Cinema!, è stato presentato in anteprima al Cannes Film Festival, ottenendo ben tre nomination ai César 2022 (miglior colonna sonora, miglior documentario e miglior esordio).
L’opera, che ha sbancato i botteghino francese con più di 3,8 milioni di dollari, è molto più di un documentario: tra valli inesplorate e impervie, abitate da una fauna rara e nascosta, le avventure di Tesso e del celebre fotografo naturalista Vincent Munier, contribuiscono a dare al film un linguaggio filosofico. Grazie ai sussurri di Cave, il violino di Ellis, le note eleganti di pianoforte, gli archi minacciosi e le dolci linee dei fiati, la colonna sonora avvolge le immagini in un’atmosfera quasi mistica e catartica.
Con l’obiettivo di avvistare la pantera delle nevi, uno dei grandi felini più rari e difficili da avvicinare, i due ricercatori esploreranno queste valli entrando in contatto con la disarmante bellezza dell’universo, domandandosi quale sia il senso di ciò che li aspetta a casa al loro ritorno e quindi il posto dell’essere umano nel mondo.
Il mammifero sfuggente e maestoso diventa una sorta di allegoria della natura incontaminata che non si interessa all’uomo, rigettando la visione antropocentrica che lo vuole al trono dell’ecosistema. L’avvincente avventura diventa metafora di un mondo in pericolo che potremmo non essere più in grado di vedere nel giro di poche generazioni a causa delle disastrose conseguenze degli interventi umani.
Un docu-film intriso di poesia, che oltre a concedere agli spettatori incantevoli scenari, invita a riflettere sul proprio ruolo nel Pianeta, mettendoci in contatto con il nostro io più profondo.
Cosa è rimasto del potere di Hitler? E cosa rappresenta oggi la sua figura? A porsi questi delicati quesiti sono stati i registi Petra Epperlein e Michael Tucker, che nel loro film Il senso di Hitler indagano sull’influenza che il Führer continua a esercitare ancora oggi sulla società. Da immagini dell’epoca nazista ai social network come Tik Tok e Twitch, il film evidenzia le recrudescenze e il pericoloso proselitismo che oggigiorno si nascondono nella nostra quotidianità.
Spaventose sono le odierne posizioni neo-naziste quanto la banalizzazione della figura del dittatore tedesco, diventata nel tempo una sorta di icona pop, che come tutti i profili più celebri, diventa strumento di intrattenimento e ilarità. È sconcertante constatare come a distanza di quasi 80 anni dal genocidio degli ebrei, che contò 6 milioni di vittime, alcuni schermi del nostro presente non si dissociano troppo da un passato nefasto. Anzi, ne fanno un uso talvolta ludico, deformando la tragica portata degli scempi nazisti. È proprio questa la banalità del male di cui parlava la filosofa Hannah Arendt, testimone del Processo di Norimberga contro i crimini nazisti. Una forma demoniaca nata dalla superficialità, dalla mancanza di comprensione e di rispetto del dolore, grave al pari di altre forze maligne ben più ragionate.
Il docu-film, ispirato dal libro, mai pubblicato in Italia, The Meaning of Hitler di Sebastian Haffner (1978), tocca 9 Paesi per ripercorrere i movimenti del dittatore tedesco, la sua ascesa al potere e le scene dei suoi crimini dal punto di vista di storici e scrittori che esaminano l’impatto che ha avuto e che continua ad avere oggi l’ideologia violenta di Hitler sulla società.
Perché i film su Hitler tendono a tagliare la scena in cui si suicida, quasi a voler dare dignità alla sua morte? Perché il negazionismo continua a dilagare, diventando una vera e propria piaga del nostro tempo? L'uso iconografico che l’arte fa della figura di Hitler rivela un certo fascino o è una re-interpretezione perdonabile del nostro passato? E ancora. Quanto è rischioso iconizzare certi personaggi senza un’approfondita contestualizzazione? O forse è più rischiosa una netta dissociazione, che finirebbe per annullarne il ricordo, e quindi i crimini commessi? Riflessioni acute che la coppia (anche nella vita) di registi si pongono, invitando gli spettatori a una prezioso esercizio di analisi.
Il film uscirà nelle sale il 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, ricordandoci che le uniche forme per combattere il male sono il ricordo e la conoscenza della storia. Non dimenticare è un dovere morale e civile, affinché il nostro presente non scriva altre pagine nere appartenenti a ieri ed evitare così un probabile movimento ciclico della storia. La nostra consapevolezza e la nostra memoria sono le uniche armi che abbiamo per garantire al nostro tempo una direzione più nobile, mantenendole così costante per le generazioni future.
Anticipato dal singolo Il Risveglio (con la partecipazione dell’attore Adamo Dionisi) , è uscito il primo ep del cantautore civitavecchiese Luca Carrubba, Fasi (Stazione Musica Records).
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