Le malcelate velleità artistiche del concerto del primo maggio
Essendomi recato a Roma per il concerto di Mac DeMarco il 29 Aprile, non ho resistito e ho passato una fin troppo poco piacevole giornata in piazza S. Giovanni per il concerto del 1° Maggio.
Non che mi aspettassi niente di che, ma nulla faceva presagire, alle 10 del mattino, un concertone disagiante a tali livelli.
E’ inutile soffermarsi sulle capacità di sobillazione masse di Geppi, effettivamente ne era perfettamente in grado.
Il problema di fondo era il bassissimo livello artistico del concerto in generale e, soprattutto, l’intenzione del fruitore medio dell’evento: fumare marijuana o hashish, bere vino scadente, urlare, partorire turpiloqui degni di una partita Milan-Inter.
A prescindere dalla folla, su cui ci soffermeremo più avanti, è bene analizzare un attimo lo scarso livello delle Guest: a parte “Marta sui tubi” e “Ministri”, l’apice dello sconvolgimento è stato raggiunto da “Renzo Rubini” e dalla sua “Amami uomo”. Non essendomi curato affatto del “festival di Sanremo”, mi era sfuggito questo brano pseudo-pornografico totalmente privo di velleità artistiche che la critica ha avuto il coraggio di definire “musica”. Sconvolto, ho optato per il vino.
Per quanto concerne la restante parte degli artisti, ho avuto molta difficoltà ad ascoltarli, causa confusione, omini senza maglietta che trascinavano carrelli colmi di birre ghiacciate che poco si curavano di calpestare i piedi del prossimo, fiumane di gente che, per qualche oscuro motivo, continuavano a camminare senza meta alcuna e così via.
Per quanto riguarda l’umanità presente nella piazza. Le scene catartiche sono state molteplici, ma le immagini di pura apoteosi sono state le seguenti:
Gentil donzella con t-shirt con stampa: “Senza T-shirt sono ancora meglio”; Seconda performance del sopracitato Renzo Rubini: Versione Ska del canto ecclesiastico “Osanna eh”; Un capannello di Emo/Scene Queen/King, ero convinto si fossero estinti, che mi fissava senza remore; Un gruppo di decerebrati, davvero molto molto nutrito, anche troppo, che ha iniziato all’improvviso a cantare un improbabile coro da stadio: “Poroppoppò, solo per un pom**no però…”.
Insomma, sconvolto da cotanta mancanza di cultura e intelligenza, mi sono diretto verso l’adiacente Colosseo, per dare uno sguardo alla famosa Gay street.
Che dire, cinquecento metri di strada, due bar in croce, il più famoso, tale “Coming out”, nome più scontato e triste non si era mai visto, omosessuali che sorseggiavano cocktails fissando senza ritegno i passanti, omosessuali che non osavano addentrarsi nel resto della città eterna.
Traduzione: un ghetto.
Per concludere vi esorto ad evitare come la peste la gay street ma, soprattutto, se decidete di recarvi a Roma per il concertone, evitate anche il concerto. Visitate i fori, piuttosto, almeno non sprecate una giornata.
